La storia antica del vetro

Di seguito riportiamo degli articoli a cura della dott.ssa Alessandra Marcante, archeologa.

  • Un’origine lontana
  • La storia mediterranea del vetro antico

 

Un’origine lontana

 

Non è ancora stato messo un punto sul problema delle origini del vetro. Sicuramente il procedimento di fusione ha origini molto antiche; i primi reperti che si possono dire di “vetro” risalgono al XXIII sec. a. C. e sono stati ritrovati nell’area dell’antica Mesopotamia. All’inizio, il vetro veniva utilizzato soprattutto per realizzare oggetti per l’ornamento personale, come le perle, e solo successivamente per recipienti di piccole dimensioni, che venivano modellati con la tecnica del nucleo friabile’, ovvero ricoprendo un nucleo di argilla con vetro fuso ed asportando il nucleo allorché il vetro si era sufficientemente raffreddato.

Da questo momento storico fino al I sec. a.C., si continuò a produrre recipienti in vetro utilizzando però la tecnica della colatura in stampo con successiva molatura a freddo, e varianti di questa, come la modellazione su stampo. Si sviluppò così un’industria del vetro di lusso intagliato, decorato a foglia d’oro, a mosaico, etc. Nel mondo romano questa tecnica venne semplificata e venne utilizzata anche per produzioni meno pregiate. Questa tecnologia conosce grande fortuna fino alla metà del I sec. d.C., ma viene utilizzata per produzioni particolari fino al tardoantico.
Verso il 100 a. C. gli artigiani che operavano nell’area dell’attuale Palestina inventarono la soffiatura, tecnica che divenne in breve tempo popolare in tutto l’impero.
Si poterono così realizzare in minor tempo e con costi contenuti contenitori di tutti i tipi, anche le bottiglie da trasporto di forma prismatica, semplici da imballare e molto solide. All’epoca, come oggi, per produrre il vetro si usava la sabbia silicea, che non si trova ovunque nelle coste del Mediterraneo. Per questo motivo le officine per il vetro “grezzo” erano situate nelle zone dove si trovava la materia prima, mentre i contenitori erano soffiati in laboratori che utilizzavano il semilavorato.
Il riciclaggio era molto diffuso ed esisteva un commercio dedicato ai frammenti di vetro da rifondere, raccolti casa per casa, stoccati in magazzino e poi trasportati via nave alle officine.
I ritrovamenti archeologici che testimoniano questa complessa filiera produttiva sono molti, fra i quali il più famoso in area italiana è quello della nave ‘Iulia Felix’ affondata all’inizio del III secolo d.C. nel tratto di mare antistante l’isola di Grado {GO} e ritrovata nel 1987.
Non è solo l’archeologia a raccontare la pratica del riciclaggio, sono anche i risultati delle analisi ‘archeometriche’ effettuate sui rinvenimenti vetrosi a partire almeno dalla fine degli anni ’60.
In questi ultimi 10 anni, inoltre, si è assistito ad un notevole incremento del numero di indagini effettuate sui manufatti di vetro da scavo o contenuti nelle collezioni.
Molto si è scoperto, ma molto rimane ancora avvolto nel mistero. Questo fatto è dovuto anche alla sostanziale lacuna di dati relativi alle officine, che in Europa e nell’area mediterranea si conoscono solo per alcune zone. In Italia, ad esempio, per l’epoca romana classica, i dati sono fortemente carenti.
Oggi grazie ad alcune nuove tecniche analitiche, in particolare l’analisi isotopica, possiamo risalire talvolta alle sabbie usate in origine per la prima fusione del vetro “grezzo”.
Durante l’alto-medioevo nella costa altoadriatica la produzione ed il commercio non vennero mai
interrotti,
ma solo ridimensionati, prodromo per la grande fioritura della vetreria veneziana del XIII secolo d.C., nutrita di tradizione tardo-romana e di nuove tecnologie provenienti dai paesi islamici e da Bisanzio. Il primo documento affidabile sulla produzione di vetro fu scritto a Venezia nel 982.
Durante i primi secoli del medioevo, nelle vetrerie, i cocci di vetro da riciclare continuarono ad essere usati in modo estensivo, fusi assieme al vetro grezzo “nuovo” proveniente dalle officine primarie e palestinesi ed egiziane ancora in attività. Paradossalmente, nel panorama italiano sono più frequenti i ritrovamenti di piccole officine alto-medievali, delle quali occasionalmente è stato possibile analizzare la produzione; i risultati hanno confermato la massiccia presenza di vetro riciclato.
Anche le tessere musive venivano riutilizzate, spesso per colorare intenzionalmente la massa vetrosa.
Il massiccio uso di vetro antico riciclato non è uniforme in tutta Italia, in alcune zone si esaurisce gradualmente tra VIII e IX secolo, mentre in altre sicuramente continua ancora fino all’XI sec. d. C.

La storia mediterranea del vetro antico

 

La storia del vetro antico in area Mediterranea si regge su due solidi pilastri: il commercio a lungo raggio ed il riciclo.
La filiera del vetro già in epoca romana prevedeva una produzione in due fasi:

  • la prima (produzione primaria) si occupava di realizzare grandi quantità di vetro grezzo,
  • la seconda (produzione secondaria) a partire da “pani” di vetro grezzo – integrati da materiali di riciclo – consisteva nel modellare gli oggetti pronti per essere commercializzati.

La produzione del vetro grezzo e l’inevitabile commercio

La produzione del vetro grezzo necessitava della disponibilità delle materie prime, ovvero sabbia silicea (vetrificante) e natron (un sale sodico fondente), e queste si trovavano in grande quantità in Nordafrica (soprattutto la zona di Alessandria d’Egitto) e nel litorale israelo-palestinese.
In Italia l’unico luogo (citato da Plinio il vecchio) nel quale vi era sicuramente produzione di vetro grezzo in epoca romana si trova nella zona di Pozzuoli. Per questo motivo fino al Rinascimento non si è mai interrotto il commercio verso il nord del Mediterraneo – per cui anche verso l’Italia – di vetro grezzo proveniente dalle varie zone di produzione.
Le moderne analisi archeometriche sono fondamentali per mapparle, identificando le rotte commerciali usate nei vari periodi storici.

Il riciclo nella pratica quotidiana delle vetrerie

Fino all’epoca moderna la seconda fase della produzione vetraria avveniva nelle officine cosiddette “secondarie” che modellavano una grande gamma di oggetti partendo dal vetro “grezzo” al quale venivano aggiunti cocci di vetro di riciclo, utili anche per abbassare il punto di fusione della miscela vetrificabile. Infatti, i forni erano tutti a legna – e senza il meccanismo del riverbero, introdotto in Italia solo a partire dal XVII secolo – e raggiungere la giusta temperatura e mantenerla per il tempo necessario alla lavorazione era piuttosto problematico.

Il tardo impero romano e l’Altomedioevo

Moltissime officine nelle zone di produzione primaria e le poche officine secondarie rinvenute in Italia risalgono non ai secoli centrali dell’impero romano, ma al suo ultimo periodo di vita ed all’Altomedioevo. Le analisi archeometriche raccontano che dall’epoca classica continuano massicci commerci con l’Egitto, mai interrotti fino all’VIII sec. d.C. e ripresi in forma più contenuta dal IX sec.d.C..

Uno sguardo agli oggetti

La grande tradizione manifatturiera romana non ha mai subito una battuta d’arresto, anzi ha mantenuto una costante innovazione tecnica che è stata usata anche per soddisfare nuovi bisogni. Questo è il caso delle lucerne in vetro che dopo essere entrate nell’uso a partire dal III sec. d.C., hanno goduto di ininterrotto favore per tutto il Medioevo ed oltre. Neppure la caduta dell’Impero alla fine del V sec.d.C. ha causato uno stop per l’industria vetraria, che al contrario ha continuato la tradizione tardoantica, seppur con nuove forme, in linea con il gusto dei conquistatori germanici. Da segnalare a questo proposito sono i capolavori di VI-VII sec.d.C. conservati presso il Museo Archeologico di Cividale del Friuli, preziosi elementi di corredo dei defunti di etnia longobarda.

Bicchiere “a sacco” | Necropoli di S. Stefano in Pertica, Cividale del Friuli, VI sec.d.C.
Bottiglia “a sacco” | Necropoli Gallo, Cividale del Friuli, inizio VII sec.d.C.
Corno potorio lacunoso | Necropoli S. Mauro Cividale del Friuli, ultimo terzo VI sec.d.C.